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RESEAU KEL VE!

Marzo 2012 di Giulia Balestra
Réseau kel vè ! (Non c’è campo!) ci avverte la gente del villaggio mentre la sera ci incamminiamo verso quella che chiamano la cabine con uno, due, tre, ma quanti sono ?... bambini dell’orfanotrofio, che ci fanno strada o si accalcano al nostro seguito.
La cabine : un punto da cui ci si può immaginare, a kilometri e kilometri di distanza, un’antenna del telefono, un altro villaggio poco meno sperduto di Djuma, ma da cui forse, è più facile stabilire un contatto con il resto del mondo.
In questo, Djuma assomiglia ad un improbabile pianeta di cui si conosce l’esistenza, quasi visibile ad occhio nudo, ma con il quale è difficile la comunicazione satellitare, e dal quale sembra impossibile partire.
Non c’è servizio postale, non ci sono i telefoni e le auto al villaggio sono solo tre : quindi rari e costosi sono i collegamenti tra quel lì e un altrove che si può soltanto immaginare, idealizzare. In questo, fare una chiamata diventa più un gioco di prestigio che un gesto automatico e banale. Si alza il braccio al cielo, ci si allunga verso l’orizzonte e un po’ si trattiene il respiro, se « prende » non ci si muove. Tutto questo, per il piacere e il divertimento dei bimbi che ora disegnano un cerchio tutt’intorno a noi e che ci osservano sgranando gli occhi, ora ci fanno il verso ripetendo in coro, come una canzone « pronto ? pronto mi senti ? ». Venti minuti di cammino, poi altrettanti per questo gioco del telefono, ed è già ora di tornare perché la notte africana scende tutta d’un colpo ed è avvolgente, assoluta e unica. Unica da vedere, sentire, vivere e unica anche perché tutto diventa una cosa sola e, a creare un’apertura in quel buio, ci sono i pochi fuochi accesi da mani invisibili davanti a capanne mute. Andiamo incontro alla notte così, insieme, prendendoci per mano ma senza fretta, seguendo un tramonto che ci sfugge, lasciandosi però dietro sé pezzi di nuvole rosse e malva. Si respira il verde intorno e ci si impregna dell’odore di maïs misto alla manioca che cotti sulla brace diventano lukù, base di tutti i pasti e simile alla nostra polenta, versione congolese.È lì, in quell’attimo preciso, mano a mano, tra quei profumi e toni, quando nessuno più ti dice « mundele bonjour ! », « ciao bianco », perché non sei più nè bianco nè nero, che tutto è uguale, rimescolando i colori e facendoli diventare uno soltanto, e tutto diventa finalmente più chiaro. Ti confondi, ti perdi e quel bambino lo diventi tu. E vorresti ritardare il più possibile il crepuscolo, fermarti, restare. Vorresti che tutto fosse come quel momento, ma anche che qualcosa cambiasse: vorresti andare avanti, poter dare di più, aiutare ancora, ma soprattutto amare diversamente, e forse, meglio.

UN INCONTRO SPECIALE

Marzo 2011 di Mirko Formenti
Hai mai visto un cieco ballare? La musica irruente di chitarre e tamburi crea forse un'area di "effetto sonar" dentro al quale i ragazzi di Bo ta mona ballano, scatenandosi, senza mai urtare nulla e nessuno, senza mai perdere la percezione dello spazio che occupano e che possono occupare, senza invadere quello degli altri. E' magia, è pura liberazione di energia, di gioia, ma è insieme una dimostrazione di un profondo controllo, lo stesso che permette a questi ragazzi di barcamenarsi
coraggiosamente, ogni giorno, per le caotiche strade di Kikwit, o che permette loro di allestire un banchetto per la festa della scuola (e quindi spostare tavoli, sulla testa, ovviamente, sedie, posate, cibo…) in totale autonomia.
E' stato per me un privilegio poter condividere del tempo con questi giovani straordinari, coraggiosi come pochi e mai arrendevoli… e non scorderò facilmente i pomeriggi sotto la "paillotte" a fare musica – e che musica! – o le serate a chiacchierare di progetti e sogni per il futuro, da chi vorrebbe sfruttare l'eccellente sensibilità tattile acquisita e studiare quindi la fisioterapia, a chi non rifiuta le sfide e sceglie la strada in salita, sognando di diventare giornalista.
Questi ragazzi rappresentano quell'atteggiamento che, credo, è indispensabile a questo popolo che cerca di rialzarsi: nessuno scoraggiamento di fronte alla sorte troppo spesso avversa, una volontà ferrea nel riuscire, nell'imparare a superare i propri limiti, ma insieme una leggerezza che permette sempre e comunque di apprezzare quelle piccole cose che, nonostante tutto, possono rendere la vita serena: una chitarra suonata, una mano stretta, quattro chiacchiere al tramonto, con un amico.

VIAGGIO IN CONGO

Gennaio 2010 di Simone Cornaro
Il ciel provvederà! -"… Questa è una delle frasi maggiormente usate da Rosanna, perché in quello che fa, di cielo ne ha bisogno tanto.
Io credo che il cielo di Rosanna siamo un po' tutti noi, un cielo che si va moltiplicando di anno in anno.
Finora conoscevo "l'aiuto umanitario" facile, cioè solo tramite cedolini di versamento. Grazie all'amicizia che si era creata fra di noi e alla crescente ammirazione che nutrivo per Rosanna ho pensato che fosse giunta l'ora di accompagnare in Congo lei e suo cugino Marco, architetto che progetta e cura tutte le costruzioni, a Kikwit, a Djuma e ora anche a Kahemba.
Senza esagerare posso dire che un viaggio del genere non è cosa da tutti: sono assai duri l'impatto con il clima umido e afoso, il disordine-caos, l'assenza di igiene, la mancanza di acqua potabile, di docce, di elettricità, di letti comodi, la presenza di insetti, zanzare (per limitarci a quelli minuscoli), la sporcizia, per non parlare delle piogge (veri e propri diluvi), le disastrose condizioni delle strade (quasi esclusivamente piste) e dunque le difficoltà negli spostamenti (per 200-300 km ci volevano dalle 12 alle 16 ore).
Tutte queste difficoltà, sono compensate dall'accoglienza, dalla disponibilità e dalla gentilezza della popolazione congolese che abbiamo avuto modo di conoscere.
Rosanna mi aveva assegnato il compito di fare un bilancio delle condizioni oculistiche dei bambini di Bota Mona (scuola di ragazzi ciechi e ipovedenti) e dei bambini di Kahemba, affetti dal Konzo.
I primi hanno perso parzialmente o totalmente la vista a causa di patologie e stati oculari che alle nostre latitudini non conosciamo praticamente più. In Congo tutto è lasciato al decorso spontaneo di queste malattie, spesso infettive, dato che i trattamenti sono troppo cari e anche i luoghi di cura spesso irraggiungibili a causa delle grandi distanze e dell'assenza di personale medico o paramedico.
Vi posso assicurare che la sensazione di grande frustrazione e della totale impotenza davanti a queste situazioni è enorme ed è potenziata ulteriormente dalla naturalezza con la quale questi bambini e anche adulti accettano il loro destino. Non un lamento, un pianto o un senso di ribellione durante i giorni che ho trascorso con loro.
Forse ancor più tragico il destino dei bambini colpiti dal Konzo, che oltre alle paresi spastiche delle gambe e delle braccia in gran parte presentavano ulteriori danni cerebrali con difficoltà di parola e importante riduzione visiva. Anche qui le nostre possibilità d'intervento sono scarse almeno per il momento. Vi è da sperare che, concretizzando il progetto di apporto costante d'acqua alla città di Kahemba, il Konzo possa essere in gran parte debellato.
Ho fatto molto poco in Congo, ci sono rimasta anche solo poche settimane: ma quando come medico ti vedi confrontato a situazioni irrisolvibili, ti sorge un senso di ribellione di fronte all'impotenza, e ti vergogni che nel 21esimo secolo con la modernizzazione e la "civilizzazione" non si riesca a organizzare in modo più capillare un aiuto sanitario concreto e efficiente.
Ritengo che sia necessario agire in modo da assicurare una continuità – anche sul posto – al lavoro di Rosanna e Marco perché questo non si interrompa improvvisamente e non sia legato esclusivamente alla loro personale iniziativa, del tutto preziosa ma che verrebbe vanificata qualora la loro partecipazione attiva venisse a mancare. Un coinvolgimento professionale, strutturato, diretto e responsabilizzato (anche se sottoposto ai debiti controlli) di persone di fiducia in loco, a mio giudizio appare indispensabile, per consentire di raggiungere un' auto-gestione e quindi una stabilizzazione di questi progetti, così meravigliosamente realizzati.
L'esperienza congolese per me è stata importante e ringrazio Rosanna e Marco di avermi aperto questa strada, che penso di riprendere presto.

IN CONGO CON ROSANNA

Aprile 2010 di Gloria Benzoni
In questo viaggio ho trovato quello che stavo cercando: il confronto e l'incontro con l'Africa, con la sua cultura e con la sua gente. Sono rimasta colpita dalla gioia di vivere delle persone, dalla musica, dalle grida e dai canti che invadono le strade. Devo dire anche che ho trovato molto più di quello che avrei potuto immaginarmi: l'amore infinito delle persone, soprattutto dei bambini é stato incredibile.
A Kikwit nella scuola "Bo ta mona" ho potuto avere dei bellissimi scambi con i bambini ciechi e ipovedenti, ascoltando la storia della loro vita.
Al centro nutrizionale, con il tempo, ho cominciato a conoscere le famiglie che vi arrivavano giornalmente; siamo sempre riusciti a comunicare anche se il francese è parlato solo da chi ha avuto la fortuna di andare a scuola.
Siamo sempre stati accolti con entusiasmo. Ovunque andavamo i bambini ci facevano festa gridando "mundele, mundele", che significa "bianco", ci toccavano stupiti e giocavano con noi. La maggior parte della gente é stata accogliente e ci ha rispettato.
A Kahemba il primo impatto con i bambini affetti da Konzo é stato molto duro e difficile da digerire, ma siamo riusciti ad avere dei buoni scambi, a portare un po' di allegria .
Io e Lola siamo rimaste quasi tre settimane a Djuma, all'orfanotrofio. È stata uno dei periodi vissuti più intensamente, sempre a contatto con i bambini e con le persone responsabili del posto. Non riesco a descrivere quanto amore ci hanno dato e quanto noi ne abbiamo dato loro...
Insieme abbiamo vissuto delle fortissime emozioni , affrontato viaggi avventurosi, conosciuto l'amore e il calore dell'Africa, condiviso le nostre vite con persone eccezionali...
Purtroppo- ma inevitabilmente-ci siamo trovati confrontati anche con l'ingiustizia, la corruzione e la sofferenza. Ci siamo dati da fare per difendere i nostri diritti e quelli dei bambini e di tutta la gente che Rosanna ha preso sotto la sua grande ala. Non ci sono solo lati positivi in questo paese...la realtà é dura da digerire. Per noi che siamo cresciuti in mezzo al benessere, ma soprattutto alla democrazia, sappiamo che abbiamo dei diritti e sappiamo come farli rispettare. Conosciamo la giustizia. Questa é stata la parte più difficile del viaggio…quando sono stata confrontata con l'ingiustizia, con la corruzione. La maggior parte della gente accetta supinamente ciò che le succede: non sa di avere dei diritti. La rassegnazione al proprio destino è dilagante. Abbiamo però avuto anche la fortuna di conoscere persone in gamba, che si danno da fare per un futuro migliore, che lavorano molto per la loro famiglia .
Le nostre speranze sono poste nei giovani; sono essi che potranno migliorare la loro vita e quella del loro paese.
Ho trovato importante lo scambio tra la nostra e la loro cultura: tutti ne siamo stati arricchiti. Adesso vedo il mondo in modo diverso, do un altro valore alla mia vita quotidiana e i nostri problemi non mi sembrano mai così gravi. Credo che una volta che hai vissuto sulla tua pelle queste esperienze, non potrai mai dimenticarle...ogni giorno penso al Congo, alla sua gente, a quelli che sono rimasti, ai bambini che mi hanno rubato un pezzo di cuore. La mia vita in Svizzera continua ma io sono cambiata, grazie a tutti voi per gli intensi momenti passati insieme e le emozioni condivise.

MAGICO CONGO

Aprile 2009 di Oliviero Piffaretti
Cara Rosanna,
grazie alla tua lettera e alle mille volte in cui ho potuto raccontare alle persone interessate quanto è stato magico il nostro viaggio, il Congo e l'Associazione da te creata sono entrati prepotentemente nel mio cuore!
Ho trascorso due mesi meravigliosi, ma anche quello che ha seguito è stato pregno di ricordi stupendi e di sensazioni uniche: quello che ho ricevuto da te, Marco, Claudio, Ale, Christiane e da tutte le altre persone che ho conosciuto è scritto indelebile in uno dei capitoli più belli
della mia vita.
Se non ti avessi seguita in quest' avventura non avrei visto quanti progetti importanti tu sia riuscita a realizzare, non avrei visto le meraviglie del Congo, non avrei assaggiato i suoi frutti, non avrei vissuto con la sua gente, non avrei conosciuto Annemarie e Deo, non avrei incrociato Mimi, non avrei mangiato le "chenilles", non avrei preso in braccio dei bébé a Djuma e non avrei conosciuto Denise, non avrei caricato mattoni con il sorriso sulle labbra e visto quant'è bello il Kwilu alle sei e mezzo del mattino, non avrei apprezzato così tanto la colazione a base di marmellate e pane fresco e la birra fresca con te e Marco, non avrei visto quanti progetti importanti si riescano a realizzare con pochi mezzi e quanti se ne possono sognare in una sola giornata...
GRAZIE PER AVERMI PERMESSO
DI FARE TUTTO QUESTO!
Purtroppo ci sono alcune cose che non ho visto, come ad esempio i bambini di Kahemba, o che non ho potuto fare come migliorare i dormitori dell'orfanotrofio ma è vero anche che se tutto fosse stato compiuto non ci sarebbe motivo di tornare!
Ti ho scritto queste poche righe principalmente per dirti quanto bene mi ha fatto il viaggio in Congo e quanto ti ammiro, davvero! Sappi che sarei felicissimo di poter dedicare il mio tempo libero all'Associazione "Solidarietà con i bambini del Congo" e, nel limite delle mie possibilità, di investirmi per il suo Bene e per la sua longevità o "lunga vita"!
Un abbraccio fortissimo alla mia "maman" Rosanna

STELLE AFRICANE

Febbraio 2009 di Claudio Niniano
A Kikwit c'è la scuola per bambini ciechi BOTA MONA (essi vedranno in Kikongo). Nelle ultime settimane mi sono perso nei suoi giardini e nei cori dei bambini. E' incredibile trovarsi sotto un chiosco, insieme a tutti loro che cantano e ballano e ti spiegano quanta poesia di vivere ci possa essere a questo mondo. Molti di loro sono completamente ciechi, altri malvedenti. Una mattina mi sono svegliato e mi ronzava in testa l'idea del sole nel cuore, evidentemente le anime dei ragazzini e il loro entusiasmo mi avevano stregato... così ho buttato giù il testo di una canzone con l'idea di poterla cantare insieme a loro. La canzone si chiama "Le soleil dans le coeur". Ho cominciato a suonarla e a cantarla davanti a tutti loro e a un certo punto hanno cominciato a cantarla...e io mi sono ubriacato di gioia. Insomma io e la mia chitarra ci siamo innamorati di quel luogo e di quella energia e siamo rimasti mattine intere a suonare con loro...così che domenica scorsa ho fatto il chitarrista d'accompagnamento per il coro di BOTA MONA alla messa. La musica scorre naturale, pochi accordi ripetuti ancora e ancora mentre le voci si incastrano dolci e prepotenti..armonizzazioni di tam tam e melodie primordiali. La messa è una festa... la gente si lascia andare in grida di euforia... si balla, si canta, ci si stringe la mano e per qualche ora ci si dimentica di tutto il degrado e dei problemi. Sono entrato nel malembe malembe(piano piano) indigeno...provateci un po' anche voi...non adducete la solita scusa dei mille problemi o dei mille pensieri..tranquillo tranquillo..un respiro profondo...tanto una volta che abbiamo avuto la fortuna di esistere, sta a noi..e solo a noi. La settimana scorsa è arrivato al centro nutrizionale Ndondji, un bambino di dieci anni senza famiglia, un po' zoppo e con due occhioni dolcissimi. Lo abbiamo accolto e per qualche giorno ha dormito in uno stanzino del centro. Due giorni fa, maman Clotilde, che lavorava all'orfanotrofio di Djuma, lo ha visto e ha deciso di adottarlo. Oggi, io, Ndondji e Alessandra siamo andati al mercato a comprargli dei vestiti e lo abbiamo accompagnato nella sua nuova casa. Riprenderà ad andare a scuola e vedremo un po' cosa si può fare per le sue gambine storte. Gioia. Non mi scorderò mai la nostra passeggiata al mercato… io e lui, mano nella mano…scegliere i vestiti… è strano, per un attimo mi sono sentito un po'…padre. Tra la fatica e le grandi delusioni che la vita ti sbatte in faccia c'è lo spazio per pagine felici e spensierate…insieme alla popolazione…che ti invita nelle sue case, ti fa mangiare nei suoi piatti e conosce la grande importanza e magia dell'ospitalità. Così tra la carne di capra, sigarette congolesi, riso scotto, verdure bollite, acqua depurata forse, docce con secchio, luce a scatti, diarree fulminanti e lampade ad olio…il mio spirito si è dispiegato in grandi sorrisi e gioia. Djuma -Nel pomeriggio, ci rechiamo all'orfanotrofio. I bambini sono tornati da scuola e tutto acquista un'atmosfera piena di vita e di euforia. Ci corrono incontro, ci saltano in braccio, ci vogliono bene e noi…siamo già innamorati persi…di tutti loro. Mettiamo noi stessi in ogni piccola cosa che facciamo e i bambini sono con noi in tutto. Quando il sole comincia a calare vado a prendere Justine, la mia piccola perla nera, la tengo fra le braccia e andiamo a fare la passeggiata del tramonto. Le canto delle canzoni, le parlo della vita, la sento respirare…Lei si guarda intorno, gorgheggia, affonda le sue piccole dita nella mia barba, e poi, lentamente, passo dopo passo, si addormenta. Buonanotte Justine, a domani. L'età dei bambini varia da 0 a 12 anni…sono felici, hanno bisogno d'affetto e di calore, stanno sempre insieme, condividono tutto, ti insegnano a vivere, si prendono cura l'uno dell'altra, si picchiano, si vogliono un bene enorme. Tra i loro sorrisi ho ritrovato le mie lacrime più sincere. Stiamo affrontando le ultime giornate africane. Io mi accorgo che qualcosa dentro di me è cambiato per sempre…una parte di me rimane in questa terra africana.

 



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